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FAHRENHEIT 9/11

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Il documentario si apre con l'annuncio di Fox News della vittoria di George W. Bush alle presidenziali statunitensi del 2000. Secondo il regista Michael Moore l'annuncio a urne aperte sarebbe stato una manipolazione in favore di Bush.

Il film prosegue con gli attentati dell'11 settembre 2001, narrando come il presidente Bush fosse stato informato del primo schianto aereo al World Trade Center mentre stava per visitare una scuola elementare della Florida. Durante la visita Bush viene informato del secondo schianto, ma - nonostante la gravità del momento - prosegue la lettura del libro con i bambini per sette minuti, invece di preoccuparsi della propria incolumità o di dare priorità a quanto stava accadendo.

Moore esamina le complesse relazioni fra il governo statunitense e la famiglia Bush, così come fra questi ultimi e la famiglia Bin Laden, il governo saudita e i talebani, intreccio sviluppatosi nell'arco di oltre tre decenni. Moore inoltre afferma che nei giorni immediatamente successivi all'attentato 24 membri della famiglia Bin Laden, presenti negli Stati Uniti, sono stati segretamente evacuati senza essere sottoposti ad alcun tipo di indagine.

Successivamente viene esaminato il servizio di Bush nei ranghi della Air National Guard, per poi passare al setaccio i finanziamenti sauditi e dei Bin Laden alla Arbusto Energy, azienda dei Bush, attraverso l'intermediario James R. Bath. Moore afferma che tali conflitti d'interesse spingerebbero l'amministrazione Bush a mettere in secondo piano gli interessi statunitensi. Il film poi individua ulteriori scopi della guerra in Afghanistan, in particolare nella costruzione e nel controllo di un gasdotto verso l'Oceano Indiano. Moore inoltre afferma che l'amministrazione Bush ha indotto un clima di paura fra la popolazione americana attraverso i mass media e passa in rassegna dubbie misure anti-terrorismo, quali l'infiltrazione da parte di agenti in gruppi pacifisti o l'emanazione del Patriot Act.

Il soggetto del documentario diventa quindi la guerra in Iraq. Moore confronta le vite degli iracheni prima e dopo l'invasione. La vita precedente all'intervento armato statunitense è dipinta come relativamente felice, mentre le condizioni post-intervento rivelano il peggioramento nella qualità di vita della popolazione. Il film, inoltre, si sforza di dimostrare il supporto entusiastico dei media verso la guerra e la faziosità dei giornalisti. Moore afferma che gli Stati Uniti hanno commesso e stanno commettendo delle atrocità in Iraq, inserendo alcuni filmati delle torture praticate sui prigionieri ad Abu Ghraib.

Nell'ultima parte del film vengono intervistati Lila Lipscomb e la sua famiglia: il figlio, il sergente Michael Pedersen, è stato ucciso il 2 aprile del 2003 a Kerbela. La donna, angosciata e in lacrime, mette in dubbio il senso della guerra. Infine Moore evidenzia il modo utilizzato per reclutare i soldati statunitensi, evidenziando come si cerchi scientemente di aumentare il tasso di partecipazione facendo proselitismo nei quartieri più disagiati, contando sulla mancanza di sbocchi lavorativi e la necessità di denaro, e affermando che le classi più povere sono le prime a sacrificarsi in guerra. Moore afferma che simili persone non dovrebbero essere mandate a rischiare la vita quando ciò non è necessario a difendere il loro paese.

Sui titoli di coda, lungo i quali si sente la canzone Rockin' in the Free World di Neil Young, Moore dedica il film a un suo amico morto nell'attentato alle torri gemelle, agli uomini e alle donne della sua città natale Flint, in Michigan morti in Iraq e alle "innumerevoli migliaia" di vittime civili delle guerre in Afghanistan e Iraq.

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